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Sections, l’acclamato progetto di Elena Anosova, è una serie di ritratti di donne russe. Nonostante diversi premi e gli elogi della critica, ho notato che un pubblico più ampio perde spesso l’interesse nel momento in cui si rende conto che queste donne non sono né modelle, né spose russe, né parvenues né qualsiasi altro tipo di stereotipi che hanno il potere di attrarre una sincera attenzione (sorprendentemente, questo atteggiamento riguarda entrambi i sessi al di fuori dell’Europa dell’Est).
Sections immortala circa 200 donne che stanno scontando la loro sentenza in alcuni istituti di pena russi e siberiani.
“Molte persone che hanno visto le foto sono rimaste sorprese dalla pulizia e dall’ordine che ne traspaiono”, dice l’Anosova. “Dicevano che il penitenziario sembra piuttosto una casa di cura. Ma pulito non vuol dire bello. Vivere in un ambiente dalla sicurezza discutibile e senza privacy deforma una persona. Nel mio lavoro, questo tema scorre da un progetto all’altro; deriva dall’esperienza personale”.
Da bambina, a causa di problemi di salute, Elena fu mandata in collegio e, anche se non ne ha un ricordo particolarmente negativo, quest’esperienza l’ha toccata profondamente.
“Una volta cresciuta volevo tornarci e fare delle foto, ma i tempi sono cambiati, e con l’avvento di Internet e tutto il resto è diventato un posto diverso, molto più bello di quando stavo lì negli anni Novanta. Sentivo il bisogno di qualcos’altro; l’alternativa migliore era quella di scattare foto in strutture chiuse simili per donne: penitenziari, monasteri, ecc.”
dice. “Quelli del penitenziario sono stati i primi ad autorizzarmi a scattare le foto – ci sono voluti solo otto mesi per ottenere il permesso”. Spesso queste strutture si trovano in piccoli paesi, o sarebbe più corretto dire che i paesi prendono forma intorno a loro.
“Ho preso delle stanze in affitto da gente del posto, nei paesini vicini. Entravo nella prigione alle otto del mattino e ci rimanevo finché non mi dicevano che dovevo andar via. Durante le prime settimane non ho scattato nessuna foto”, dice l’Anosova. “Parlavamo soltanto e prendevamo il tè, abituandoci una alla presenza dell’altra”.
Al giorno d’oggi siamo testimoni di numerosi tentativi volti a romanticizzare queste istituzioni nella cultura popolare. Il successo di Orange is the New Black ne è un esempio. Ma, a prescindere dalla geografia, le trasformazioni sociali ed emotive che Elena racconta nella sua storia hanno carattere del tutto universale. Le sue eroine, da essere solo ragazze confuse, si adattano alle detenute adulte, diventando sempre più mascoline col passare del tempo all’interno del carcere. E difficilmente possiamo trovare qualcosa di romantico in questo, nell’isolamento o nella sorveglianza.
Le detenute svolgono lavori tipicamente maschili: costruiscono, trasportano cose pesanti, e questo trasforma il loro aspetto esteriore – ci si sentirebbe a proprio agio facendo tutto in abiti maschili. Tutto ciò cambia una persona anche dall’interno.
Onestamente, Sections è un progetto davvero fresco, e penso sia uno dei motivi per cui le sue protagoniste si sono sentite a proprio agio:
“Credo che queste donne abbiano accettato di essere fotografate perché gli ho spiegato la ragione per cui volevo fotografarle. Non ho voluto mettere in evidenza la vita quotidiana in carcere, non sono sostenitrice della pura documentazione. Infatti, gli ho spiegato che le mie ragioni sono quasi del tutto egoistiche; non ho finto che il mio progetto avrebbe cambiato il loro mondo. Ho ammesso che era il mio modo di fare terapia, e hanno acconsentito a farne parte”.
Questo tema attira l’attenzione su diversi problemi. Elena non cerca di giudicare il modo in cui il sistema lavora dall’interno, ma non ha potuto evitare di porsi una domanda: che cosa succede dopo? Come possono queste donne adattarsi e socializzare?
“Quando ho iniziato questo progetto, non ci ho pensato proprio”, dice. “Essendo fotografa e artista, non posso risolvere questo problema. Ma se sono fortunata, potrei attirare l’attenzione su alcuni di questi aspetti”.
Elena Anosova è cresciuta in Russia e attualmente vive tra Mosca e Irkurtsk, sua città natale. Lavora anche su altri progetti incentrati su soggetti che vivono ai margini della società e su come questa formi l’identità e la memoria collettiva.
Al momento, Elena sta lavorando a un nuovo progetto in un lontano paese del nord di circa 300 abitanti, da dove viene una parte della sua famiglia. Dopo avergli dato un’occhiata, aspetto con impazienza di vedere come sarà.