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Mi è stato chiesto di scrivere. Ho iniziato e questa pagina non è più bianca. Forse sarebbe stato meglio mantenerla bianca, senza questi segni neri che si chiamano lettere, e in tutta onestà, lo credo anche io.
Mi è stato chiesto di scrivere, a me che ho da sempre scelto le immagini per non dovere troppo specificare. Ho poi scoperto che il discorso è più complesso di così e che, anzi, con le immagini a volte ti complichi la vita anche più che con le parole. Però ormai era fatta, ho continuato, perdendomi e ritrovandomi svariate volte, fino a oggi, quando, appunto, mi hanno chiesto di scrivere. Devo scrivere dell’Italia nelle fotografie di Everyday_Italy: cioè quindi devo scrivere di fotografia, o meglio… devo fare delle fotografie di parole.
Porco cane, dove mi sono infilata?
Allora, se in questo momento dovessi fare una fotografia di parole dell’Italia, sarebbe una fotografia satellitare; non trovandomi più quotidianamente sul suolo italico da qualche mese, posso solo osservare a distanza e sentire l’eco dei fatti, senza viverlo. È una maniera attutita di percepire, come se il mio orecchio fosse sott’acqua, e la massa d’acqua i 1.647 km e le 16 ore e 42 minuti di viaggio che ci sono tra Amsterdam e Roma. Che poi è impossibile farli tutti di filata, tocca fermarsi tipo in Francia o a Bruxelles, e farsi anche un giro, il che non è male.
In questa fotografia satellitare si vede un po’ tutto: le montagne, la costa, le città, la mia riviera. Se faccio molta attenzione e strizzo gli occhi, riesco a vedere gli impermeabili bagnati di pioggia a Milano e le gocce di condensa sullo shaker del mio amico barista a Genova, che sta preparando un ottimo Americano. Vedo la stradina tra gli alberi di pesche che porta alla casa del grande fotografo, diventata un rifugio per chi ancora crede nel grande formato. A Roma vedo fogli, pile di fogli nella redazione dell’emittente televisiva e un calcio al pallone che sfida la bora. Al sud c’è chi fa l’oroscopo mentre mette a letto il proprio figlio, chi suona il pianoforte alle 4 di notte fumando una sigaretta. Da qui posso zoomare a mio piacimento, posso arrivare fino a vedere il colore degli occhi della persona con cui stai parlando, ma lo sappiamo che questo non è un vedere, o meglio… è un vedere con la mente, partendo da ipotesi probabili del reale.
È immaginare un’immagine e quindi una fotografia, che non sia né digitale, né analogica, ma di un’altra sostanza: è di pensiero.
«In definitiva, quello che noi facciamo, la fotografia, è una sorta di luogo su cui pensare»
dice Guido, e credo intenda dire che facendo fotografia si riflette sulla fotografia stessa e sul vedere, quindi poi anche sul presentare. O forse intendeva dire che, dopo averla fatta – la fotografia – dovremmo sederci sopra di essa come se fosse una sedia e riflettere, come se quello fosse il luogo confortevole in cui pensare il mondo, o meglio, lo strumento grazie al quale pensarlo.
O altrimenti potremmo fare come quando si deve prendere una decisione e… «Devo pensarci un po’ su»; e poi finisce che ci si dimentica e si passa a fare altro.
L’avevo detto che ci si complica la vita con queste cose, e in definitiva, posso affermare di non aver parlato delle fotografie di Everyday_Italy, né dell’Italia, né del vivere in Italia, e che sicuramente continuerò a pensarci su altri cinque minuti.
Veronica Daltri / Everyday_Italy